Avevo capito che la strada sulla quale mi stava mettendo il servizio civile era quella giusta
#dieciannidiSCUP - 2020 -
Marco, in servizio civile a Periscopio.
Terminato il mio percorso di studi, con i sacrifici e le fatiche che ogni studente deve fare per finire quella strada, ero convinto di aver concluso, di aver già dato, di aver completato tutti i livelli. E quel “la dichiaro dottore magistrale in filosofia e linguaggi della modernità” sembrava sostenere i miei pensieri come una sentenza definitiva.
Mi domandai allora, e adesso? Cosa rimane da fare?
Rimanevano i sogni. Quel “cosa vuoi fare da grande?”, che nel mio caso aveva come risposta “insegnare”.
Fare l’insegnante? e come si fa? Il percorso all’università, per quanto fosse ricco ed entusiasmante per un appassionato come me di quelle materie, non brillava certo in termini di orientamento. E quindi?
Iniziai a mettermi all’opera: curricula, mad, bandi di selezione, iscrizione in graduatorie in altre province, ma nulla… io avevo bisogno di una risposta, di capire se al di là della passione per lo studio e per la ricerca avessi anche le credenziali per insegnare. A molti basta il contratto firmato (e se ne vedono le conseguenze) per altri, invece, insicuri come me, un feedback di qualche tipo avrebbe di certo fatto comodo tra la confusione di quei pensieri, nonostante sulle carte (neanche troppo sudate) avessi già dimostrato di padroneggiare i contenuti.
La domanda, dunque, con il tempo, era cambiata: da un “come si fa a fare l’insegnante?” a un “come si capisce di essere un insegnante?” Risposta: non lo puoi capire da solo, hai bisogno dell’Altro, dei tuoi studenti, del metterti in relazione con gli altri. Tutte queste cose mi sarebbero servite a capire questa cosa così importante per me e soprattutto a comprendere se i miei sogni fossero un po’ illusi al momento o meno. Ma come dicevo prima, la possibilità di entrare in una scuola era lontana (se ne sarebbe riparlato a settembre), ma avevo ancora bisogno di capire (deformazione professionale) e magari di farlo prima di avere davanti a me una classe e le responsabilità che quell'essere davanti avrebbe comportato.
Fui così contattato ad inizio estate del 2019 dall’Associazione Periscopio (avevo mandato un curriculum alla scuola presso la quale questa associazione aveva la sede).
Mi informai sul loro operato, e a seguito di un confronto con loro, nel quale mi parlarono di un percorso di Servizio Civile, mi convinsi che sarebbe stata la scelta giusta provarci. (L’associazione si occupava di educazione allo studio, seguiva molti ragazzi/e tra medie e superiori tutti i pomeriggi dopo la scuola.)
Ma perché il servizio civile? E che cos’era? Cercai di capire basandomi sull’esperienza di qualche amico che aveva già intrapreso e concluso questo percorso, e mi colpì molto il fatto che fosse strutturato in modo complesso (nel senso buono del termine) attorno al/alla giovane in servizio civile. C’era un percorso nel percorso, una crescita nella crescita personale e professionale. Le formazioni offrivano un ampio spettro di argomenti di interesse che non avevo considerato, un mettersi in gioco con altre persone che non conoscevo, un parlare e confrontarsi con esperti/e del mondo del lavoro mi avrebbe dato qualche strumento in più per essere più consapevole delle direzioni che avrei potuto prendere. Ma soprattutto capì poi che parlare con altri dei propri sogni era già un primo passo per poterli realizzare.
Così mi iscrissi, feci il colloquio di selezione ed attesi il responso della graduatoria del progetto. Iniziai il mio percorso consapevole della posta in gioco: fermarsi per quasi un anno. Ma é stato davvero così? è stato un fermarsi? Per certi aspetti si, perché ho avuto il tempo di conoscermi in modo diverso, sul campo e non più solo sui libri. Per altri versi, invece, é stato un continuo andare avanti e in particolare con l’inizio della parte del progetto a contatto con gli studenti cambiò tutto.
Da quel momento iniziai a comprendere cosa volesse dire esserci per qualcuno che aveva bisogno e che anche se non ti aveva mai visto prima riponeva fiducia in te. Essere insegnante, per quanto fossi ancora lontano dall’esserlo, avevo capito che era un rispondere ad una chiamata. Le prime erano di aiuto soprattutto quando c’era di mezzo Hegel o Kant, le altre poi erano un “come stai?” o un “come sta?” (Un’altra cosa che capii fu che stavo crescendo/o invecchiando) dunque le chiamate, fatte di parole o anche solo di sguardi iniziavano a intrecciarsi con la quotidianità di quel percorso che avevo scelto. Iniziai a rispondere a qualche “batti un 5” dopo aver saputo che l’interrogazione era andata bene. Più loro imparavano a conoscere e a conoscersi più io facevo lo stesso con me e con il mio futuro, con i miei sogni, che forse - ora - non sembravano più così illusi.
Per quanto il percorso di servizio civile fosse un “ambiente protetto” le responsabilità che sentivo erano comunque molte e con il tempo e l’aiuto tanto del team dell’Associazione quanto degli stessi ragazzi imparai a gestirle e ad assumerne delle altre.
Poi la storia del mondo (il 10 marzo 2020) diventò anche la mia, la nostra: il covid, il lockdown. Ma noi andavamo avanti seppur con mezzi diversi, continuavamo. E in questo periodo lo stesso essere parte dello SCUP giocò un ruolo davvero importante. Ad ogni modo, avevo capito che la strada sulla quale mi stava mettendo il percorso di servizio civile era quella giusta. Era ed è la mia.
Ora, a distanza di anni, non so ancora rispondere alla domanda “come si fa a fare l’insegnante”, ma so - in parte - di esserlo diventato.
Marco Dalbagno, giovane in SCUP presso l'Associazione Periscopio